PERCHÉ UN RITRATTO?
Un ritratto inizia dal dialogo, non dalla macchina fotografica
Tra psicologia e pedagogia
Uno spazio per (ri)vedersi, non solo per mostrarsi. Il ritratto, per come lo intendono altresì molte fotografe e fotografi, non è un solo prodotto estetico. È un atto educativo e relazionale, una forma di comunicazione emotiva.
In questa pagina voglio raccontare, umilmente, il cuore della mia visione fotografica personale, che nasce dalla Pedagogia e si nutre dell’incontro tra sguardi, corpi e storie.
Uno spazio educativo
Il mio approccio al ritratto affonda le radici nella mia formazione pedagogica, maturata nel mondo accademico e nella lunga esperienza in ambito educativo e relazionale. Per me, infatti, un ritratto non è semplicemente una fotografia: è uno spazio d’espressione, di presenza, di libertà interiore. Un tempo sospeso in cui non si posa “per” qualcuno, ma ci si espone per sé stessi, con autenticità.
La macchina fotografica diventa così uno strumento di ascolto profondo, capace di accogliere ciò che emerge, anche in modo inaspettato, e di restituirlo senza giudizio. È in quel momento che l’immagine smette di essere apparenza e diventa un gesto di liberazione, una forma di verità, un’occasione per ritrovarsi.
Pedagogia, emozioni, riconoscimento
La Pedagogia ha plasmato nettamente il mio modo di fotografare: per me, un ritratto non è “scattare una foto a qualcuno”, ma costruire insieme uno spazio di fiducia, in cui la persona si senta libera di esistere come vuole.
Non è un atto tecnico, ma relazionale: è uno sguardo che accoglie, che si fa vicino, che ascolta ciò che l’altro decide di condividere.
In questo, trovo risonanza con molte riflessioni pedagogiche.
Penso, ad esempio, alla Pedagogia delle emozioni di Maria Grazia Contini, che invita a leggere l’educazione come spazio emotivo, incarnato, di risonanza.
Un luogo dove la persona può riconoscersi nello sguardo dell’altro senza giudizio.
Mi ispirano anche le riflessioni sull’educazione all’intelligenza emotiva, concetto reso celebre da Daniel Goleman e sempre più ripreso in ambito pedagogico:
educare significa anche imparare a nominare le emozioni, a leggerle, a esprimerle — e l’immagine può facilitare questo processo.
In una visione più ampia, mi riconosco in un’idea di educazione come cura, riconoscimento e narrazione del sé. Un approccio che affonda le sue radici in autori come Jerome Bruner, ma che oggi si evolve anche grazie al contributo di voci contemporanee che riflettono sul corpo, la soggettività e la presenza nell’esperienza educativa.
Parola alla psicologa
Cosa accade quando ci lasciamo guardare? Uno scatto può diventare uno spazio sicuro, in cui riconoscersi senza filtri.
La Pedagogia e la Psicologia possono aiutarci a comprendere come l’immagine di sé non è mai solo estetica, ma anche affettiva, emotiva, trasformativa.
In questo credo profondamente. Il ritratto può essere un’esperienza ben più profonda di quanto si pensi.
Chiudo con le parole di una cara amica, Marenza De Michele (visita il suo sito qui) psicologa e psicoterapeuta di grande esperienza, che ha voluto raccontare in modo poetico il senso di ciò che accade quando ci si affida allo sguardo di un altro:
La rappresenta nelle forme di un corpo che non chiede di essere perfetto, ma semplicemente immagine di ciò che, dentro, si coltiva.
Bello di quella bellezza che solo l’anima sa donare a ogni forma.
Non è la perfezione a descrivere la bellezza, ma lo sguardo che si posa sul corpo, sul proprio corpo, con gli stessi occhi con cui si ama: occhi comprensivi, teneri, capaci di accogliere.
Amore per sé, amore per l’altro.

Riferimenti pedagogici e teorici
E se vuoi approfondire meglio le radici di questo pensiero, lascio di seguito alcuni autori e approcci che ispirano la mia visione appena descritta:
• Maria Grazia Contini – Pedagogia delle emozioni: l’educazione come luogo di risonanza emotiva e riconoscimento reciproco
• Daniel Goleman – Intelligenza emotiva: introdotto in psicologia, ma ampiamente sviluppato in ambito educativo: la competenza emotiva come chiave formativa.
• Jerome Bruner – Il significato dell’educazione: l’importanza della narrazione di sé come forma di costruzione dell’identità.
• Franco Cambi – La cura educativa: la relazione educativa come atto di cura, ascolto, rispetto del vissuto.
• Philippe Meirieu – Pedagogia: il dovere di resistere: il valore etico dell’educazione come incontro tra soggetti, non come trasmissione di modelli.
• Martha Nussbaum – Coltivare l’umanità: l’educazione alla cittadinanza emotiva e al riconoscimento dell’altro attraverso l’empatia.
• Vanessa Roghi – Lezioni di Fantastica: una riflessione pedagogica sullo sguardo, sulla scuola come luogo anche di immaginazione e narrazione.